VIALE DEI MISTERI 17
20 MAGGIO – ORE 23.06
“Commissariato di Ombriano.”
“C’è un uomo morto. Nell’ascensore del condominio Viale dei Misteri 17. Credo sia stato ucciso. Venite.”
Una chiamata secca, anonima, senza esitazioni. Otto secondi che cambiano tutto. Otto secondi che aprono un varco tra la normalità e qualcosa che normale non sarà mai più.
È una sera tranquilla, in quel modo stanco in cui solo i condomini di vecchi palazzi sembrano sprofondare. Il cortile interno è vuoto, le finestre sono in gran parte spente, o rischiarate dalla luce azzurrina dei televisori accesi senza entusiasmo. Un vento leggero muove le foglie dei tigli sul marciapiede, e lo scricchiolio del vecchio cancello sembra un gemito d’avvertimento.
Poi accade.
L’ascensore si blocca al quarto piano. Nessun segnale. Nessun allarme. Solo un suono profondo, metallico, quasi ovattato, come se qualcosa, o qualcuno, avesse interrotto il meccanismo in maniera innaturale.
La cabina è ferma. Dentro, il corpo di un uomo riverso a terra come un burattino a cui hanno tagliato i fili. L’orologio al polso segna le ore 23:06. Lo stesso orario della chiamata.
La luce interna dell’ascensore sfarfalla. Il profumo intenso da uomo, troppo intenso, arriva subito dopo. All’inizio è impercettibile. Poi diventa un annuncio, un segnale che sfonda le fessure delle porte e si insinua nelle narici di chi vive lì da anni.
Franca, la portinaia, è ancora sveglia. Come sempre. Seduta sulla sua sedia usurata, con una coperta sulle ginocchia e la televisione accesa a volume basso. Un occhio allo schermo, l’altro al monitor delle videocamere. Lo nota subito: un’anomalia sul piano dell’ascensore. L’indicatore è fermo. Non scende. Non risponde.
La videocamera del corridoio del quarto piano è sfocata, disturbata. Non si distingue nulla. Ma il vuoto che circonda quella porta sigillata dice molto di più di quanto mostrerebbe un’immagine chiara.
Il profumo intenso si diffonde lentamente, come un presagio. Qualcuno, al secondo piano, apre una finestra per fumare e trattiene il respiro. Un altro, sul primo, si sveglia infastidito, credendo che sia l’ennesima perdita dai tubi dell’impianto idraulico. Ma la sensazione che qualcosa non torni si insinua in ogni angolo del palazzo.
Alle 23:17, due auto della polizia arrivano senza sirene. Nessun clamore. Solo fari spenti all’ingresso e scarponi rapidi sul selciato. Suonano alla portineria. Franca li fa entrare con un gesto della mano e il volto stravolto. Gli agenti salgono a piedi fino al quarto piano.
L’ascensore viene aperto con la chiave tecnica. Il corpo è lì. Immobile. Un uomo sulla sessantina, ben vestito, volto noto a chi abita in quel condominio da anni. Si chiama Federico Barolo. Un condomino difficile, litigioso, pieno di denunce, lettere, minacce, segnalazioni.
Gli agenti non trovano sangue, né evidenti segni di colluttazione. Ma le mani dell’uomo sono contratte, le nocche rigide. C’è qualcosa nel suo sguardo vuoto che parla di paura. Di una paura improvvisa e definitiva. Accanto a lui una siringa.
Alle 23:40, il corpo viene rimosso. Viene portato via tra due ali di silenzio. Nessuno esce, ma molti sono svegli. I vetri scuri delle finestre riflettono i lampeggianti blu che disegnano ombre mobili sul cortile. Il palazzo respira come un’entità viva, sospettosa, tesa.
Gli agenti passano in rassegna ogni piano. Fanno domande rapide, controllano le telecamere, visionano le registrazioni digitali. Ma c’è un vuoto. Dalle 22:50 alle 23:10, alcune videocamere smettono di funzionare. Blackout parziale. Nessun segnale. Nessun accesso registrato.
All’ingresso, qualcuno ha spento una sigaretta di tipo Marlboro Rosse. Dettaglio apparentemente insignificante. Se non fosse che nel palazzo, Barolo era l’unico noto per fumare quel tipo.
La portinaia conferma che l’ascensore funzionava correttamente fino alle 23:06, ora in cui lo vede fermo al quarto piano. Nessuno esce o entra nell’ascensore. Dopo di che, niente. Neppure una chiamata. Come se l’intera struttura fosse stata isolata. Sabotata.
Alle 06:12, la polizia lascia l’edificio. Nessun arresto. Nessun annuncio. Solo la comunicazione ufficiale: “Morte sospetta. In corso accertamenti.”
Il portone si chiude con un clic. I condomini restano nei loro appartamenti. Nessuno si muove. Nessuno dorme.
Poi, alle 07:23, un suono rompe il silenzio. Quello di una notifica WhatsApp. Una sola. Poi un’altra. E un’altra ancora. Il gruppo condominiale prende vita. Una valanga digitale di paure, insinuazioni, screenshot, frasi mozzate, messaggi cancellati.
Ma tutto questo è solo l’inizio.
Quella chat, quel luogo virtuale, diventerà presto il vero campo di battaglia.
Barolo non era solo un vicino odiato. Era anche un uomo che raccoglieva segreti. Li archiviava. Li usava. E ora che è morto, tutti si chiedono cosa abbia lasciato scritto. Cosa abbia registrato. E, soprattutto, chi sapesse troppo.
Una domanda sospesa come una lama sopra ogni appartamento:
“Chi voleva morto Federico Barolo?”